La ripresa dell’Italia e la resistenza al cambiamento

09 Maggio 2022

La celebre frase di Tancredi nipote del Gattopardo “bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com’è” è diventata un leitmotiv per contrassegnare non più solo la Sicilia o il Meridione […]
La ripresa dell’Italia e la resistenza al cambiamento

La celebre frase di Tancredi nipote del Gattopardo “bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com’è” è diventata un leitmotiv per contrassegnare non più solo la Sicilia o il Meridione ma tutto il Paese. Forse questa generalizzazione è ingiusta e un po’ superficiale, come tutti gli stereotipi, ma coglie un problema reale e profondo.

L’Italia ha avuto nella storia del mondo un posto particolare: è stata la terra della cultura, dell’arte e della bellezza più di ogni altra. La terra che ha prodotto non uno ma molti “rinascimenti”, ovvero dei passaggi fondamentali nel modo di vivere e rappresentare il mondo. Sarebbe complesso analizzare perché ci siamo spogliati sempre più di questo ruolo unico, che per certi versi fa parte comunque del nostro patrimonio culturale e sociale.

Oggi usciamo da una pandemia devastante e si pone il problema di gestire passaggi fondamentali, spesso definiti come “transizioni”, che richiedono grandi capacità di cogliere e gestire le complessità, le dinamiche del cambiamento, avere visioni all’altezza delle sfide e concretezza nella loro realizzazione. Basti pensare all’opportunità dei fondi del PNRR che sono l’occasione per risollevarci, per modernizzare il Paese e le sue infrastrutture materiali e sociali. Sembra un tema economico o tecnologico ma è invece soprattutto culturale e psicologico.

I grandi cambiamenti positivi richiedono una reale “apertura” mentale, la disponibilità a mettersi in gioco, a modificare gli schemi che usiamo – come dei filtri percettivi – per leggere la realtà. Le scienze psicologiche hanno lungamente studiato la “resistenza al cambiamento” sia a livello individuale che nelle organizzazioni.

Oggi il Paese ha un serio problema da questo punto di vista, che si manifesta in modo evidente nella macchina pubblica. Potremmo prendere due settori conosciuti dai cittadini come la sanità e la scuola per vedere in atto questa resistenza. Tutti dicono che serve una scuola che non dia solo nozioni disciplinari ma aiuti a far crescere nei ragazzi competenze trasversali per la vita, oppure una sanità che sia in grado di considerare le persone nella loro globalità e non solo come organismi biologici. Se ne parla da anni e la pandemia ha reso ancor più eclatanti queste esigenze, ma ci saranno davvero queste evoluzioni?

Purtroppo temo che stiamo rischiando tante cattedrali nel deserto, tante occasioni mancate. In sanità non si è riusciti a fare le “case della salute” e ora si vorrebbero fare le “case di comunità” ma se si leggono in concreto i primi provvedimenti si vede che siamo bravi più con le parole che con i fatti. Tutti gli aspetti legati a bisogni nuovi vengono di fatto ignorati perché si ha timore di affrontare il nuovo mentre è più facile incasellarlo negli schemi, nei servizi già esistenti.

Un esempio eclatante è l’impossibilità a pensare alla dimensione soggettiva delle persone se non in termini di patologia: in sanità la persona è solo un corpo e diventa anche una psiche solo quando questa psiche è malata. E infatti abbiamo servizi per la malattie mentali ma nessuna strategia, individuale o collettiva, per promuovere il benessere psicologico e diminuire le situazioni di disagio. La Psicologia è nata e si è sviluppata soprattutto per fare questo ma in Italia la vediamo ancora relegata negli studi di freudiana memoria.

Non voglio annoiare il lettore parlando troppo di psiche e psicologia, ma se devo misurare la capacità di innovazione su questi temi mi dovrei mettere le mani sui capelli. Ma non ce l’hanno con la Psicologia: semplicemente non vogliono porsi il problema perché comporta un cambiamento vero. È più facile scansarlo, ricondurlo a schemi già disponibili, e pazienza se sono luoghi comuni sempre più lontani dalla realtà e dalla sensibilità dei cittadini.

Bisognerebbe riflettere sul fatto che la vita è comunque cambiamento, possiamo esserne consapevoli e cercare di costruire, realizzarci e realizzare, o lasciarci trasportare dalla corrente dove vuole lei.


David Lazzari – Presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi
La ripresa dell’Italia e la resistenza al cambiamento, The Huffington Post (www.huffingtonpost.it)